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[Parlami di tER] Percorsi felliniani a Rimini: intervista a Patrizio Roversi

di /// Settembre 16, 2021
Tempo stimato di lettura: 8 minuti

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Parlami di tER è una serie di racconti dall’Emilia-Romagna. Sono sguardi d’autore gettati sulla regione da donne e uomini che son nati, vivono o semplicemente si sono innamorati di questa singolare, bellissima, terra con l’anima.
Se anche tu vuoi raccontare l’Emilia-Romagna che si vede dalla tua finestra sei benvenuto. Basta una mail a inemiliaromagna@aptservizi.com o un commento qui sotto!


Abbiamo chiesto al TuristaVelista per Caso Patrizio Roversi – emiliano d’adozione, padano di nascita – un’idea per una gita in Emilia Romagna. Ecco cosa ci ha risposto.

L’Emilia Romagna è una regione che rispecchia molto bene una caratteristica dell’Italia più in generale: la massima variabilità e biodiversità culturale, estetica e paesaggistica!

Si passa, infatti, dalla montagna vera e propria, alla collina, alla pianura con una serie di città d’arte, per arrivare al mare e alla costa. Quindi in Emilia Romagna il turista trova tante cose interessanti e diverse: le eccellenze rappresentate dai centri storici di Bologna, Ferrara e Parma, ma anche Reggio Emilia, Modena e Piacenza. Trova la montagna – pensate al Cimone – dove si può sciare o fare passeggiate nei boschi; trova la collina, penso ad esempio al parco di Roccamalatina… E ovviamente trova la costa, con tutta una serie di attrazioni.

E proprio sulla costa vorrei arrivare a Rimini, dove ho vissuto la mia ultima interessantissima esperienza da turista. Esperienza organizzata dalla Fondazione Fellini, in collaborazione con il Comune, la Provincia di Rimini e Assalti al cuore: un itinerario felliniano nel centro storico della città, dove ho fatto il turista per davvero… Un turista un po’ particolare, però: ero il capogruppo! Quello, cioè, che si mette davanti a tutto il gruppo di turisti e con l’ombrellino ben alzato si fa seguire dalla comitiva. Nel nostro caso io – oltre all’ombrellino – avevo anche un trenino, su cui erano caricati i partecipanti! Uno di quei trenini che passano attraverso i centri storici e che si trovano nei parchi di divertimento. C’erano poi altre persone che ci seguivano in bici e a piedi, che hanno deciso di partecipare a modo loro al nostro itinerario felliniano.

La doverosa premessa è che tracciare un itinerario felliniano proprio a Rimini è una cosa molto sottile e complessa: Fellini a Rimini ci è nato e vissuto fino ai suoi 19 anni, quindi tutta l’infanzia e la giovinezza. Questa città ha rappresentato per lui l’oggetto della sua creatività, ispirandolo in tutti i sensi.
Nonostante questo, però, Fellini non ha mai girato a Rimini neanche un metro di pellicola. Si è ispirato sì a Rimini, ma in maniera estremamente libera e fantasiosa. L’itinerario è stato interessante perché abbiamo visto delle cose vere che hanno dato adito a prodotti di totale fantasia, al contrario di quello che capita di fare quando, ad esempio, si va a Disneyland o in luoghi simili, dove vedi posti assolutamente finti, ma ricostruiti come se fossero squisitamente veri.

A chi volesse percorrere un itinerario felliniano a Rimini, potrei consigliare di partire dal Borgo San Giuliano. Noi abbiamo cominciato proprio da qui, in particolare dalla piazza della chiesa di San Giuliano, perché rappresenta l’identità della città. San Giuliano era un borgo al di là del canale, abitato da pescatori, lavoratori, artigiani e operai. Qui viveva gente povera che ha sempre avuto, però, una fortissima identità. Ha sempre rappresentato il senso di ribellione, solidarietà e – appunto – identità di Rimini. Tra l’altro, è il luogo che attualmente celebra di più Fellini, perché ospita una serie di murales ispirati ai suoi film. È lì che abbiamo letto una serie di scritti del regista che parlano della città, contraddittori com’era la sua natura.

“Io non ho fatto nella mia vita che girare un film sul mio paese. A Rimini sono nato, in tutti i sensi.
Il cinema Fulgor, i sapori della tavola, il vuoto aperto del mare, l’incanto delle donne; tutte le meraviglie per me provengono da qui.

Cosa sarei stato senza Rimini? Cosa sarei stato senza i sogni che mi ha regalato?
Qui il mare e la terra sono un grande schermo che si accende. Hanno viaggiato in tutto il mondo i miei film, ma forse io non mi sono mai mosso, non sono mai partito.

Li ho presi tutti per mano i miei spettatori, li ho accompagnati ad assaggiare i luoghi incantati della mia infanzia. In questo angolo dolce e accogliente di Romagna, dove ancora è possibile imparare a sognare.

Un fatto è comunque certo: io a Rimini non torno volentieri. Debbo dirlo, è una forma di blocco. Non riesco a considerare Rimini come un fatto oggettivo. É piuttosto una dimensione della memoria. Quando mi trovo a Rimini vengo aggredito da fantasmi già archiviati, sistemati. Forse questi innocenti fantasmi  mi porrebbero, se vi restassi, una imbarazzante muta domanda, alla quale non potrei rispondere con capriole e bugie, mentre bisognerebbe tirar fuori dal proprio paese l’elemento originario, ma senza inganni.

Rimini, cos’è? É una dimensione della memoria, una memoria inventata, adulterata, manomessa, su cui ho speculato tanto che è nato in me una sorta di imbarazzo.”

(La mia Rimini, prefazione di Paolo Fabbri)

Durante tutto il percorso ho dialogato con Beppe Ricci, archivista della Fondazione Fellini, e con Paolo Fabbri, direttore della Fondazione. Naturalmente entrambi sanno tutto sul maestro, Ricci è stato una specie di pozzo di scienza da intervistare durante tutto il tragitto! In loro compagnia abbiamo guardato dei filmati in cui Fellini parla della provincia riminese raccontando cose che, secondo me, sono valide per tutta la provincia italiana. Fellini, infatti, dice che chi è nato in provincia si sente un po’ depauperato, costretto in un ruolo molto marginale, compresso. Ma sarebbe proprio questa compressione a stimolare la fantasia. Ecco allora che il provinciale, l’intellettuale nato in provincia, diventa molto creativo e quando va nella metropoli – come nel caso di Fellini a  Roma – riesce a far esplodere questa sua potenzialità.  Una lezione fondamentale, perché non riguarda solo la creatività, ma anche l’economia: la provincia è da sempre l’energia del nostro paese e da questo punto di vista il parere di Fellini è estremamente interessante.

Abbiamo poi attraversato il Ponte di Tiberio, reperto storico della città, un grande ponte di pietra d’Istria. È detto di Tiberio, ma in realtà è stato cominciato da Augusto e solo terminato da Tiberio. La cosa importante è che segna l’inizio della via Emilia.

Siamo quindi passati davanti alla Chiesa dei Servi, raccontata da Fellini nei suoi ricordi d’infanzia. Una chiesa freddissima, buia, che faceva paura ai ragazzi… Memorabile l’episodio in cui Bedassi – detto “quel patacca di Tarzan” – per scommessa avrebbe detto: “se mi date 10 lire, un chilo di lupini e due salsicce io mi nascondo nella chiesa e ci passo la notte”. Pare che il sacrestano la mattina abbia sentito un raglio venire dal confessionale… Si trattava di Bedassi, che si era addormentato e russava! Svegliato all’improvviso avrebbe detto: –“ma’, el cafelat” (mamma il cafelatte), perché durante la notte non aveva fatto una piega e credeva di essere a casa sua.

Poco più avanti c’è il cinema Fulgor, che è un luogo importante di pellegrinaggio, perché Fellini l’ha citato in Amarcord e in Roma. È in ristrutturazione perché Dante Ferretti – scenografo e 2 volte premio Oscar – ha realizzato un progetto per farlo diventare un cinema anni ’30 e, fra l’altro, la sede della Fondazione e del Museo Fellini.

Dopodiché siamo arrivati nella piazza di Castel Sismondo. In realtà dovrebbe chiamarsi Sigismondo, perché è stato costruito da Sigismondo Pandolfo Malatesta a metà del ‘400. Anche questo è un luogo molto felliniano. A parte il fatto che merita una visita perché è sede di una fondazione, Fellini lo ha inserito nel suo film sui clown: c’è una scena in cui proprio davanti al piazzale del castello viene montato il circo! Si tratta di un momento importante della vita del regista, che avrebbe deciso di lavorare nel mondo dello spettacolo proprio perché innamorato del circo.

Poi abbiamo proseguito verso Piazza Cavour. È una delle piazze più importanti e più belle di Rimini, la piazza del comune, dei palazzi, delle grandi statue. Fellini ne ha parlato e l’ha rappresentata in moltissimi dei suoi film. Durante il percorso abbiamo animato un po’ la situazione incontrando l’avvocato, la tabaccaia, un paio di suore… Ma anche a un turista che ci passa oggi, consiglierei comunque di aguzzare lo sguardo: la tabaccaia e l’avvocato di Fellini naturalmente non ci sono più, ma i tipi umani e la comunicativa romagnoli, la loro capacità di interpretare dei personaggi è assolutamente intatta. Si può dire che Fellini ha preso dal vero e il contatto con i romagnoli è molto forte.

Dopo questa tappa siamo andati in Piazza Ferrari, dove c’è il monumento dedicato ai caduti riminesi della Grande Guerra. È un monumento realizzato negli anni ’20 e inaugurato da Re Vittorio Emanuele III. E’ un luogo incredibile, perché in realtà – duole dirlo, con tutto il rispetto per i caduti – il dato saliente di questo monumento è che si vede il fondoschiena di una donna. È un enorme culo, là in alto, e Fellini lo cita in Amarcord. La singolarità è che mentre per altre cose la ricostruzione è stata molto libera, il sedere del monumento di Piazza Ferrari è proprio identico! Ha aggiunto, credo, solo un paio d’ali sulla schiena. Questo è il luogo in cui il Fellini adolescente andava a esercitarsi nelle sue prime manovre di carattere sessuale-solipsistico… Insomma, Rimini è anche questo.

Un privilegio che abbiamo avuto (ma ci si può comunque passare davanti) è stata la visita di Palazzo Ripa. Qui Fellini ha abitato per alcuni anni. Il babbo faceva il commerciante di generi alimentari e la famiglia era abbastanza benestante. Fellini racconta alcuni episodi della sua vita da bambino, come quella volta che si è messo per terra davanti a casa, appena dentro all’androne vicino alle scale, fingendosi morto perché voleva attrarre l’attenzione e sconvolgere i suoi familiari. Racconta questo episodio tre diverse volte: due nel 1941, in due racconti scritti sulla rivista Marc’Aurelio, e un’altra volta 20 anni dopo durante un’intervista. Tutt’e tre le volte dà versioni completamente diverse fra loro! La prima volta dice che il padre vedendolo sarebbe morto di paura, perché lui era tutto sporco di rosso, lo avrebbe poi preso e portato al piano di sopra, dove anche la madre vedendolo sarebbe a sua volta svenuta dalla paura. Nella seconda versione il babbo è sostituito dallo zio, mentre nella terza lo zio, guardandolo steso lì per terra, gli avrebbe dato un calcio nel sedere dicendogli: “dai, patacca, vai a lavarti”. E lui da allora lo avrebbe odiato, perché non era caduto nel suo tranello.

È proprio in queste occasioni che Fellini fa un discorso sui ricordi. Pare che molti fossero totalmente inventati, smentiti dalla madre stessa che gli ricordava, ad esempio, come ad andare in collegio fosse stato il fratello e non lui. Ma cosa cambia? Il mio amico Martino Ragusa, psichiatra, che ho interpellato per capire quale fosse la sindrome di Fellini, in questo caso mi dice che… non è niente di che! L’infanzia è il luogo magico in cui tutto si può aggiustare, e per combattere la depressione Fellini ha ricostruito a proprio uso e consuma la sua l’infanzia. Non c’è niente di male, è una cosa che agli artisti si può perdonare.

Siamo passati davanti alla Cappella dei Paolotti, che Fellini ha ricostruito uguale girando diverse scene. C’è ad esempio un episodio vero, il Miracolo della Mula, in cui un eretico sfidò Sant’Antonio: “Se riesci a far sì che la mia mula affamata preferisca l’ostia consacrata alla buona biada, crederò”. Dopo quattro giorni di reclusione a digiuno nella stalla, l’animale viene liberato e posto di fronte da una parte a Sant’Antonio con in mano l’ostia e dall’altra al padrone con la biada. La mula sceglie Sant’Antonio e l’eretico si converte…
Poi qui Fellini ha rappresentato la scena in cui le signore, le contadine e le pescivendole che vengono a Rimini dalla provincia, montano in sella alle biciclette con un movimento molto sensuale.

A seguire siamo andati al Palazzo Buonadrata, oggi sede della Cassa di Risparmio, un tempo il liceo frequentato da Fellini. Poi abbiamo attraversato via Dante, dove al numero 4 abitava il primo amore del maestro, la Bianchina, e dove al numero 9 ha abitato lui stesso. La Bianchina racconta che da piccolo, per scappare dai genitori, Fellini si è calato dal balconcino con delle lenzuola, per uscire e vivere le sue avventure… Il balconcino è ancora lì, in via Dante. Proseguendo poi in via Gambalunga si incontra un chiostro con una biblioteca, il ginnasio di Fellini.

Che dire, al di là che il percorso felliniano sia attivo o meno e nonostante sembri un po’ feticistico seguirlo in questo modo, è più che altro un pretesto per riscoprire il centro storico di Rimini, che è delizioso. I bar, i personaggi, i palazzi… Un posto bellissimo! Ovviamente non ho nominato il Grand Hotel, luogo felliniano per eccellenza – ça va sans dire -… Se vi affacciate vi faranno vedere almeno il giardino e la hall. Il Grand Hotel è il simbolo per Fellini di tutte le trasgressioni, sessuali e non solo.
A Rimini si è abituati a vivere soprattutto il lungomare, con i suoi locali, il mare e i ristoranti dove mangi fino a stroncarti, ma non bisogna dimenticare anche questi altri aspetti.

Patrizio Roversi 
www.turistipercaso.it
 | www.velistipercaso.it

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