Il mondo di Pascoli è fatto di emozioni che con grande maestria riesce a trasmettere a chi legge le sue poesie.
La percezione di ogni cosa passa attraverso i sensi, quindi tutto è importante e va colto anche se fuggevole: i colori, i suoni, i profumi.

Il legame di Giovanni Pascoli con il cibo è molto forte, non solo perché il poeta amava mangiare e bere buon vino, quanto invece perché l’atto di assaporare i cibi assume per lui una duplice valenza: da una parte l’atto di mangiare attorno ad un tavolo magari con gli amici, equivale per lui a un momento di allegria.
Allo stesso modo anche la preparazione del cibo era un momento gioioso: aiutava la sorella a preparare il pane, a cuocere la piada sulla teglia, a tirare la sfoglia delle tagliatelle facendo frullare il mattarello sul tagliere, col suo grembiulone in vita.
I sapori diventano quindi un modo per ritrovare nel cibo il sapore della sua Romagna da cui si era dovuto allontanare peregrinando in tutta Italia come insegnante.
I sapori e i profumi della sua terra continueranno a riempire la sua vita quotidiana anche nella lontananza. La cucina di Castelvecchio, nella casa toscana dove vivrà con la sorella Maria, rispecchia fedelmente la cucina dell’infanzia a San Mauro.
Agli amici di San Mauro, chiedeva prodotti romagnoli: gli ‘spippoli‘ da cuocere allo spiedo (cacciagione), pesce fresco da far cucinare alla maniera di ‘Magnul‘, l’oste del borgo di Bellaria dove si recava a mangiare con gli amici nei suoi ritorni in Romagna.
A tavola Pascoli prediligeva tagliatelle al ragù, erbe di campagna cotte che lui chiamava “ragazul” o il ‘bazòt’ un formaggio semimorbido che mangiava assieme alla piadina.
Proprio alla piada il poeta dedica un intero poemetto, con cui Pascoli nobilita questo cibo povero ma prelibato, realizzato con pochi ingredienti: acqua, farina e sale.
Prima di allora la piada non era mai stata menzionata per iscritto e la descrive liscia come un foglio e grande come la luna.
Ancora più forte in questo senso è il rapporto del Poeta col vino, immancabile sulla sua tavola. Più forte perché i vitigni si coltivano, perché Pascoli ha un progetto: quello di avere un proprio possedimento vinicolo in cui piantare migliaia di maglioli di vino Sangiovese di Romagna.
Un altro modo, insomma, per sentirsi a casa e per ritornare alla terra. Ecco che allora partono, per Leopoldo Tosi, affittuario della Torre, lettere continue che sollecitano barbatelle e maglioli, piante da frutta, piante ornamentali e melograni destinati a trasformare la Chiusa di Castelvecchio in un angolo di Romagna.
Parlami di tER è una serie di racconti dall’Emilia-Romagna. Sono sguardi d’autore gettati sulla regione da persone che son natie, vivono o semplicemente si sono innamorate di questa singolare, bellissima, terra con l’anima. Se anche tu vuoi raccontare l’Emilia-Romagna che si vede dalla tua finestra sei benvenuto.
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