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Cosa Mangiare a Ferrara

di /// Agosto 31, 2021
Tempo stimato di lettura: 8 minuti

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Ferrara vanta una straordinaria quantità di piatti tipici, sintomo di come l’arte culinaria abbia sempre avuto molta importanza nella tradizione culturale di questa città, un’importanza dovuta principalmente alla presenza della corte estense che ne ha segnato profondamente le abitudini.

Cosa mangiare a Ferrara

Botticelli – Banchetto nel Bosco, Ph. Museo Prado Madrid via Wikipedia



Al tempo Ferrara era infatti un luogo mondano e aristocratico. Fra le più ricche e fastose corti del Rinascimento, rifugio di letterati come il Boiardo, Tasso e Ariosto, Ferrara nel XV e XVI secolo era considerata una delle città più illustri e famose d’Europa. La cerimoniosa vita alla corte estense prevedeva sontuosi banchetti per i quali già al tempo venivano coinvolti gli artigiani della città di Faenza che già nel ‘400 fabbricavano appositi vasellami di ceramica per i Duchi.

Ma Ferrara era anche il luogo in cui per la prima volta il contengo dei commensali diventava norma. Il Galateo estense, tra le molte prescrizioni, prevedeva che la carne non fosse più strappata con le mani, all’uso dei barbari, ma che fosse servita già tagliata nei piatti degli ospiti. Nasceva l’arte dello “Scalco”, il servitore addetto a tagliare e a servire la carne; celebre fu l’episodio del maggiordomo ferrarese Cristoforo da Messisbugo, che seppe servire cosi bene la carne all’Imperatore Carlo V che questi lo insignì addirittura del titolo di Conte Palatino.

In breve Ferrara fu uno dei luoghi in cui, grazie alla presenza di una ricca corte, di commerci evoluti e di un territorio circostante estremamente fertile, si svilupparono le basi di quella che oggi chiamiamo Cucina Italiana.
I piatti tipici di Ferrara portano quindi con loro questo profumo di preparazioni antiche e accostamenti di sapori che restituiscono il gusto delle corti nobiliari rinascimentali in cui dolce e salato, spezie e frutti locali, concorrono alla creazione di sapori perduti tra le pagine della storia.

https://youtu.be/5M535Wd0T0I

Ma Ferrara è anche il luogo in cui è ancora possibile rintracciare l’origine dei piatti, le ragioni geografiche e sociali della loro esistenza in un percorso che accomuna il godimento del palato e della mente.
Da questo punto di vista quindi chiunque si vorrà avvicinare alla cucina ferrarese, troverà che i sapori che esprime non sono cambiati dal periodo in cui qui regnavano i Duchi.



Cappellacci

Handmade ER - Ferrara cappellacci di Zucca4

Ferrara – Cappellacci di Zucca, Ph. Fabio Duma



È una delle ricette più famose e rinomate dell’Emilia Romagna e si dice che la loro forma richiami il cappello dei contadini, dal quale oltretutto prendono il nome. Ovviamente fatti di pasta sfoglia, sono simili ai tortellini, ma in versione grande.
I primi cenni dei “Cappellacci di Zucca Ferraresi” si trovano nei ricettari rinascimentali degli Scalchi al servizio della famiglia d’Este a Ferrara, dove troviamo i primi riferimenti ai “tortelli di zucca con il butirro“. Una delle prime ricette di questo piatto risale infatti al 1584, quando lo scalco estense Giambattista Rossetti ne fa menzione in un suo ricettario.
Gli ingredienti originali sono gli stessi della ricetta attuale se non fosse per l’aggiunta di alcune spezie, come lo zenzero ed il pepe, oggi cadute in disuso ma all’epoca della corte Estense particolarmente diffuse.
La zucca usata solitamente è la “Violina“, varietà che deve il nome alla forma allungata simile a quella dello strumento musicale, e dopo la cottura al vapore o al forno, alla sua polpa si mescolano parmigiano reggiano o grana padano, uova, pangrattato, sale, pepe e noce moscata; il ripieno è così pronto per essere racchiuso a tortello nella sfoglia preparata a mano.



Pasticcio


Il Pasticcio di Maccheroni è un piatto tipico ferrarese del periodo di Carnevale. Anche in questo caso si tratta di una ricetta di antica tradizione che risale ai banchetti della Famiglia Estense e si compone di un involucro di pasta frolla, sulla quale vengono riposti i maccheroni conditi con ragù, besciamella e funghi; questo piatto così particolare viene poi infornato presentandosi poi al palato come un connubio fra dolce e salato.
Data la complessità di esecuzione, è sempre stato considerato un piatto di prestigio, che spesso figurava nei pranzi di alto livello e, in tempi più recenti, nei pranzi familiari durante alcune ricorrenze particolari.
Secondo alcuni il pasticcio di maccheroni non sarebbe una ricetta propria ferrarese, ma sarebbe invece un piatto d’importazione dalla corte Napoletana, dove era particolarmente diffuso. Quando infatti, Eleonora d’Aragona, figlia di Ferdinando I di Napoli, andò in sposa ad Ercole I d’Este nel 1473, gli scambi culturali fra le due signorie divennero più fitti, cosa che portò alcune delle preparazioni gastronomiche della corte napoletana direttamente sulle tavole dei banchetti ferraresi.



Salama da Sugo


Tra le specialità gastronomiche ferraresi, forse quella che più di altre è sopravvissuta immutata nei secoli e che viene ancora preparata secondo l’antico, rigido rituale. La Salama da Sugo, che non è un salame, è un impasto di carne suina macinata con vino rosso, sale, pepe nero, noce moscata, cannella e chiodi di garofano e altri ingredienti segreti che nessun artigiano del gusto sarà mai disposto a rivelare.
Viene stagionata per circa un anno e, prima di finire a tavola, esige una lunga bollitura in acqua, stretta in un panno perché non si spacchi e appesa in modo che non tocchi la pentola. Per mangiarla, si scoperchia e si scava l’impasto morbido e gustoso col cucchiaio, vietatissimo farlo con il coltello. Si accompagna di solito con il purè di patate, ma è molto più “estense” (Le patate sono venute solo dopo, con la scoperta dell’America) associarlo al tipico purè di zucca, che conferisce al tutto un contrasto dolce-salato di antica tradizione.
Le è stato anche dedicato un intero poema, la “Salameide” di Antonio Frizzi (1772), dal quale risulta chiaro che la salama è costituita prevalentemente di fegato, e non di carne.



Torta di Tagliatelle


La Torta di Tagliatelle è un dolce tipico della tradizione emiliana la cui ricetta viene fatta risalire al Rinascimento. È molto conosciuta nei paesi dell’Appennino Tosco-Emiliano, ma è anche molto diffusa nel ferrarese e persino nella provincia di Mantova (dove viene preparata senza il guscio di frolla). È una torta antica e si dice che le “tagliatelle fini” che ne decorano la superficie non siano altro che un omaggio che fu fatto alla bionda chioma di Lucrezia Borgia, signora del Castello Estense di Ferrara per quasi un ventennio.
La base di pasta frolla racchiude una farcitura di mandorle e miele, mentre la decorazione superiore, con nidi di tagliatelline fresche di pasta sfoglia fatta con uova e farina, in cottura al forno diventa particolarmente croccante.
Si serve abitualmente bagnata con liquore alle mandorle.



Tenerina

Cosa Mangiare a Ferrara

Fetta di Torta Tenerina – Ph. Dissapore



La Torta Tenerina è uno dei dolci emiliano-romagnoli più famosi ed apprezzati, arcano potere del cioccolato, ma la terra che ha dato i natali a questa deliziosa torta è la città di Ferrara. Da un punto di vista delle suggestioni culinarie, è un dolce di derivazione francese, in particolare viene accomunata ai “Moelleux au chocolat” transalpini.
Nota fin dal 1900 come Torta Montenegrina o Torta Regina del Montenegro, sembra che sia stata preparata in origine in omaggio di Elena Petrovich del Montenegro, la sposa dell’allora Re d’Italia Vittorio Emanuele III. I ferraresi invece la soprannominarono “torta tacolenta”, per la sua consistenza interna quasi appiccicosa che si scioglie in bocca, deliziando il palato. Servita con una spolverata di zucchero a velo o con del mascarpone, questo splendido e gustoso dolce, si presenta con un esterno croccante che rivela al suo interno un cuore di morbido cioccolato fuso ancora semi liquido.



Panpepato


Il Panpepato un dolce che la città di Ferrara condivide con molte zone dell’Italia Centrale. Narrano le cronache che nel 1660 le monache del monastero del Corpus Domini di Ferrara trassero ispirazione da una ricetta del noto cuoco estense Cristoforo da Messiburgo, creando un dolce da inviare alle grandi personalità dell’epoca. Uno dei suoi ingredienti principali è il cacao, che al tempo era appena giunto in Europa dal Nuovo Mondo ed era considerato bene di lusso destinato a pochi.
A forma di Zuccotto e impreziosito da mandorle, nocciole, canditi e spezie profumate all’uso rinascimentale, deriva il suo nome dall’antica denominazione “Pan del Papa”, proprio per il suo essere un dolce ricco e sfarzoso. Oggi si può trovare con il nome di Panpepato o Panpapato ed è il dolce tipico del Natale, delle feste e che meglio rappresenta la ricchezza e la raffinatezza di Ferrara. Il suo gusto intenso ed il profumo speziato richiama infatti sia i sapori del territorio che gli intensi profumi che anticamente i bastimenti provenienti dall’Oriente sbarcavano nei porti dell’Adriatico.



Vongole


Nella zona del Delta del Po l’acquacoltura ha sempre ricoperto un ruolo di primo piano nella realtà nazionale, tanto da assumere nel corso degli ultimi venti anni, una dimensione significativa anche a livello europeo. Le sue origini storiche si fanno risalire a cavallo tra il XVII e il XIX secolo, epoca in cui nacque e si sviluppò il sistema produttivo del Delta del Po strettamente controllato dall’uomo.
In particolare, fin dalla sua formazione, il territorio ferrarese di Goro è stato abitato da pescatori dediti ad attività di sfruttamento delle risorse naturali tipiche locali. Tra queste la pesca di vongole, cozze ed altre specie ittiche autoctone hanno rappresentato la principale fonte di sussistenza alimentare per molti secoli, i cui corpi morbidi e carnosi ben si prestano a diverse preparazioni in cucina.
Qui c’è poco spazio per la creatività, la cottura che infatti esalta al meglio il gusto della vongola è quella più semplice: in padella rovente con olio, aglio schiacciato ed una manciata di prezzemolo, con una cottura velocissima e conservando l’acqua rilasciata dai molluschi.



Anguille

Comacchio

Lavoriero per la pesca della Anguille Ph. Monuwanda



Eccoci ancora all’interno dell’area del Delta del Po, le cui genti sono state dedite nei secoli alla pesca ed alla lavorazione delle anguille.
Questi pesci nascono nell’oceano e, intorno ai tre anni, nuotano verso il delta di qualche grande fiume in cui passano la maggior parte della loro vita. Intorno all’età di otto/dieci anni le anguille fanno ritorno all’Oceano per andare ad accoppiarsi nel Mar dei Sargassi, luogo in cui depongono le uova prima di morire.
Per non permettere alle anguille ingrassate dagli anni passatinel fiume di scivolare in mare, i pescatori di Comacchio da secoli istallano dei complessi sistemi di trappole fatte di canne e chiamate “lavorieri”, i quali si collocano in punti strategici del Delta, lì dove l’acqua tiepida del mare satura di ossigeno irrompe nella laguna. La tradizione vuole che le anguille vengano estratte dalle trappole durante le notti di gelo, in assoluto silenzio e con la luna piena, in quanto la luce artificiale è sconsigliata.
Secondo alcuni ci sarebbero ben quarantotto differenti piatti a base di anguilla, che vanno dal delicatissimo risotto fino alla griglia sulla quale l’anguilla sprigiona tutto il suo intenso aroma che la rende un rito gastronomico a cui è impossibile resistere. Particolarmente apprezzate sono le femmine di anguilla, più grosse e più lunghe, che vengono comunemente chiamate “Capitoni” e la cui preparazione è un tipico piatto nazionale del periodo natalizio.
Da ultimo segnaliamo altri due piatti rinomati a base di anguille che derivano dalla cosi detta cucina povera popolare, il brodetto ed il risotto. Un tempo infatti i tranci del pesce, conisiderate parti pregiate, venivano esportati fuori dalle zone di pesca ed agli abitanti del luogo restavano gli scarti della produzione, le teste.
Nella gastronomia popolare queste divennero la materia prima per un famoso piatto regionale, il “brodetto” che oltre a consumarsi cosi com’era, poteva essere usato come base per la preparazione dei fantastici risotti.



Vini delle Sabbie


Da ultimo segnaliamo il Vino del Bosco Eliceo. Anche in questo caso l’innesto del vitigno nelle Valli avvenne infatti con tutta probabilità nel 1528, quando Ercole II Duca d’Este sposò Renata di Francia, figlia di Luigi XII. Le giovane reale francese portò in dote un vitigno della Côte d’Or della Borgogna, l’Uva d’Oro appunto, che trovò il perfetto habitat nelle zone delle Dune Sabbiose del Delta e nei Dossi del Bosco Eliceo per riprodursi al meglio, tra i lecci e i cespugli deltizi. L’ambiente particolarmente umido, nebbioso e statico, l’aria e il terreno fortemente salmastri, la vicinanza costante del mare e la mancanza di acqua dolce hanno contribuito, nei secoli, alla formazione di un’uva dal fortissimo carattere, perfetta per i piatti di carne e di pesce di queste zone.

Autore

Walter Manni

Esploratore e Avventuriero: ama navigare gli oceani, scalare le montagne più alte e surfare sulle onde del web

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