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HandMadeER | Il Restauro Cinematografico della Cineteca di Bologna

di /// Febbraio 24, 2023
Tempo stimato di lettura: 6 minuti

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Bologna è celebre in Italia e all’estero non solo per la sua tradizione gastronomica, ma anche per la sua antica anima culturale. Fiore all’occhiello della Città Dotta è la Cineteca di Bologna, una delle più importanti cineteche europee, che con il suo laboratorio altamente specializzato nel campo del restauro cinematografico L’Immagine Ritrovata rappresenta ed esporta in tutto il mondo l’arte del fatto a mano regionale.

Una nuova puntata della nostra rubrica HandMadeER ci porta a visitare gli spazi dove letteralmente “avviene la magia”, i luoghi dove grazie al restauro cinematografico i vecchi film prendono nuova vita e vengono salvati dal deterioramento, per essere restituiti agli occhi e al cuore dei cinefili di tutto il mondo.

Quanti film restaurate in uno anno, indicativamente?

Restauriamo dagli 80 ai 100 film all’anno, poi ci sono dei progetti che includono tanti film piccoli, collezioni composte da filmetti di uno o due rulli, però la media è quella. Noi lavoriamo per la Francia, lavoriamo per la Fondazione di Scorsese, la World Cinema Project; poi abbiamo clienti in tutta Europa e lavoriamo molto anche per l’Asia, dove abbiamo sia clienti pubblici come l’Hong Kong Film Archive e il Film Museum di Singapore, che privati come le case di produzione.
Abbiamo infatti altre sedi sia a Parigi che a Hong Kong. La sede di Hong Kong, nel Milky Way Building, si è resa necessaria anche perché era difficile spostare i film da là, per problemi legali dovuti al nitrato. La sede di Parigi invece è stata aperta per via della stretta collaborazione con la Pathé, per fare in modo che i clienti potessero partecipare più da vicino al processo di restauro.

Quanto tempo occorre in linea di massima per restaurare un film?

Ci vuole da un mese a un anno, perché tutte le tempistiche sono sempre relative alle condizioni del film; posso avere un film degli anni ’80 e un film degli anni ’30 che hanno la stessa tempistica di lavorazione: è la storia del film che decide.

Quali sono le fasi che compongono il processo di restauro di un film?

Si inizia con la fase di ispezione e di studio del materiale ricevuto: a volte riceviamo i materiali corredati da ricche informazioni, che andiamo comunque a verificare, altre volte dobbiamo proprio indagare approfonditamente qual è la storia di quella pellicola.
Si prosegue con la fase più legata al lavoro manuale, la fase di riparazione dei danni delle pellicole, che comprende il ripristino delle condizioni fisiche e meccaniche del film, con lo scopo di migliorarne le condizioni per poterli scansionare e duplicare. Queste pellicole devono infatti essere preparate opportunamente per essere digitalizzate; dobbiamo fare in modo che il passaggio nelle macchine avvenga senza problemi e nella maniera migliore possibile.

In presenza di danni fisici come strappi, giunte deboli, perforazioni rotte o mancanti, parti mancanti, andiamo a ricostruire la funzionalità meccanica della pellicola utilizzando strumenti molto semplici e artigianali come forbici, pinze e bisturi, che sono proprio di derivazione chirurgica; poi utilizziamo nastri adesivi specifici per la pellicola e una colla fatta da noi, seguendo una ricetta antica trovata su materiale d’epoca, e poi le nostre mani, che sostanzialmente sono lo strumento più importante. Sostanzialmente ci troviamo molto meglio a lavorare manualmente perché manualmente possiamo modulare il nostro lavoro seguendo le specificità della pellicola che stiamo lavorando. Qui la tempistica è molto variabile a seconda della quantità dei danni che ci sono: andiamo da un minimo di mezz’ora, un’ora per un rullo (che corrisponde alla sesta parte di un film) fino a vari giorni, magari anche una settimana nei casi più complessi.
In presenza di danni chimici, abbiamo l’ospedale dei casi disperati. I danni chimici che il film subisce sono principalmente dovuti al tipo di supporto su cui è conservato, e derivano dall’indebolimento dei legami chimici. Il nitrato per esempio è un elemento di per sé abbastanza stabile, molto trasparente, quindi dal punto di vista cinematografico aveva una resa eccezionale, però con l’umidità e il calore si deteriora, fino a polverizzare il film; a volte il film diventa troppo colloso, altre volte perde di flessibilità, in entrambi i casi non riusciamo a scansionarlo perché non riusciamo a svolgerlo, quindi facciamo dei trattamenti di reidratazione oppure di essicazione, o dobbiamo combinare i due trattamenti.
I film in triacetato e diacetato invece soffrono della cosiddetta sindrome dell’aceto; quelli erano materiali non infiammabili (fatto che ha portato una vera e propria rivoluzione nell’industria del cinema) però hanno legami chimici molto deboli che causano un processo di cristallizzazione sulla pellicola; anche in questo caso il film deve subire trattamenti di reidratazione o essicazione a seconda dello stadio.
Prima di qualsiasi duplicazione il film deve poi essere lavato, perché la carica elettrostatica attira polvere; la pellicola viene quindi caricata in un macchinario con spugne di poliuretano e viene lavato con un liquido e con gli ultrasuoni.

Una volta che abbiamo i file digitali, ci sono tutti i settori preposti al vero e proprio restauro, che sono la comparazione, il restauro digitale e la color correction, che è sempre la parte finale.
Per quanto riguarda il settore della comparazione, dobbiamo dire che quando riceviamo un film in realtà abbiamo molti elementi (negativo, controtipo positivo, controtipo negativo, copia positiva) e poi ci possono essere più versioni; tutte queste questioni di diversità fra elementi e fra copie vengono studiate su software appositi; se un elemento è lacunoso, si cerca di capire il perché: se è stata una scelta editoriale o un problema di censura, se è andato perso un rullo o se delle scene si sono rovinate; quindi si fa una restoration decision list per selezionare gli elementi migliori.

Il restauro digitale è il settore più grande perché è quello che prende più tempo; abbiamo 23 workstation e 4 software diversi, 3 dedicati specificatamente al restauro digitale e uno per gli effetti speciali che per noi consistono nella risoluzione di problemi continui; quando per esempio abbiamo una riga che va su tutto il film, non possiamo utilizzare informazioni prima e dopo, che è il principio del restauro digitale, bisogna ricreare una parte dell’immagine.

Infine c’è la color correction, che lavora sulla fotografia del film: in questa fase riportiamo la luminosità, i contrasti e i colori dei film a una situazione che è il più vicino possibile a quella del momento in cui il film è uscito nelle sale. Lo facciamo servendoci di materiali originali, nel senso che quando abbiamo la possibilità di consultare le copie uscite all’epoca lo facciamo, in modo da avere un riferimento per poter lavorare correttamente sul look che il film aveva. Se i materiali d’epoca non sono affidabili o non sono disponibili spesso lavoriamo per esempio con i curatori dei restauri o con l’autore o la casa di produzione, che sono persone che conoscono benissimo il film, il modo in cui si lavorava nel momento in cui è stato girato e che hanno un’idea su come questo restauro deve essere realizzato. La situazione migliore, che non è però sempre realizzabile, è quella in cui viene ad aiutarci qualcuno che ha partecipato alla realizzazione del film. In questa sala in particolare le persone che vengono di più sono i direttori della fotografia, oppure i registi o gli operatori alla macchina, persone che lavorando sul set hanno dei ricordi diretti di come doveva essere quella scena, quella luce, quella impostazione del film; ovviamente questo è quello che rende il lavoro il più fedele.

Possiamo poi anche tornare in pellicola. Dai dati digitali c’è una macchina che riscrive i dati su pellicola, una pellicola particolare, l’ultima pellicola che è stata inventata dalla Kodak e dalla Fuji, perché c’è stato quel periodo del digital intermediate per cui si girava in pellicola, si faceva tutta la post-produzione in digitale e si tornava in pellicola. Il restauro rispecchia un po’ questa percorso e quindi ancora usciamo in pellicola. Lo facciamo quando ci viene chiesto, è diventata una cosa di nicchia, un’archeologia del cinema, anche se ad oggi la pellicola rimane ancora l’unico elemento certificato per la conservazione; una pellicola di poliestere se conservata bene può durare centinaia di anni, un file su un hard disk ancora non lo sappiamo, neanche su un server.

  • Ph. Fabio Duma
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  • Ph. Fabio Duma
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Come è nato il laboratorio? Raccontaci il suo legame con la città di Bologna.

Sicuramente c’è una tradizione cinematografica legata al territorio: l’idea di creare una cineteca, di raccogliere collezioni di film, un interesse anche verso la storia del cinema legato all’università; è una città che ha investito nella cultura e una politica che la ha appoggiata.
Il laboratorio è nato nel 1992 ed era solo fotochimico; inizialmente era società privata, chi lavorava qua era anche socio, ma erano solo una decina di persone. Nel 2005 l’acquisizione da parte del Comune di Bologna ha permesso di avere un finanziamento per aprire tutto il settore digitale e ampliare il personale.
Questa era sicuramente la Regione e la città giusta per fare queste cose, perché c’è stata una volontà politica di investire concretamente in questo settore culturale.

Ci sono altre realtà simili a voi in Europa e nel mondo?

Altre realtà simili a questa in Europa sono poche e non di questa natura un po’ ibrida, nel senso che quasi tutti i laboratori che oggi si occupano di restauro erano laboratori in attività commerciale di produzione e post produzione, noi invece siamo gli unici che si sono da subito occupati solo di restauro; da una parte quindi all’inizio avevamo meno esperienza, però con il tempo ci siamo specializzati di più e adesso il nostro punto forte è soprattutto il maneggiamento della pellicola perché ci sono dei Paesi in cui la gente non lo vuole più fare, o perché non c’è più il know-how perché si è già passati al digitale da tempo quindi certe competenze non sono più trasmesse, o a causa dei problemi legati al nitrato: essendo un materiale altamente infiammabile, la gente è spaventata e non vuole lavorarlo.

Quali competenze bisogna avere per lavorare qui?

Qui lavorano persone che provengono da tutta Italia e anche da tutto il mondo; la maggior parte ha fatto il DAMS di Bologna e in particolare il corso di Filologia del Cinema del Professor Canosa, perché attraverso quel corso si poteva accedere al tirocinio. Poi vengono fatti corsi di formazione interna man mano che si rende necessario l’inserimento di nuovo personale. Adesso siamo arrivati ad essere 76.
Tutti hanno comunque una formazione storico-critica. La cosa importante è conoscere la storia del cinema perché anche il nostro sound restorer deve sapere che tipo di tecniche venivano utilizzate sul set, una conoscenza che poi si sviluppa anche nel tempo, è uno studio continuo, le competenze sono tutte da costruire ma la base è la curiosità, al passione, l’interesse per la storia ma anche per la tecnologia.

Autore

Elisa Mazzini

Web Content Manager per @inEmiliaRomagna e mamma a tempo pieno.

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