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[ParlamiditER] La Liberazione raccontata da chi c’era

di /// Agosto 31, 2021
Tempo stimato di lettura: 4 minuti

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Parlami di tER è una serie di racconti dall’Emilia-Romagna. Sono sguardi d’autore gettati sulla regione da donne e uomini che son nati, vivono o semplicemente si sono innamorati di questa singolare, bellissima, terra con l’anima. Se anche tu vuoi raccontare l’Emilia-Romagna che si vede dalla tua finestra sei benvenuto. Basta una mail a <turismoemiliaromagna[at]gmail.com> o un commento qui sotto!

Questi testi sono le trascrizioni testuali di due video della serie “La liberazione raccontata dai partigiani modenesi” pubblicati da Città di Modena e disponibili a questo indirizzo.

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Pioli Ines
Mi chiamo Pioli Ines, però tutti chiamano Rina perché il nome di battaglia che mi è stato dato quando sono venuta a Modena,  spostata dal movimento del Comitato di Liberazione Nazionale a fare il lavoro politico per le donne modenesi. La mia famiglia venivamo da Ferrara: abitavamo in Piazza Castello e con il secondo bombardamento è morto un bambino di 10 anni che era mio fratello, e quindi siamo venuti qui con un carico molto doloroso.

La lotta partigiana e il ruolo delle donne 

Intendiamoci bene: la sottoscritta ha fatto il ruolo di staffetta- allora si chiamava così- più che di combattente, perché per me le armi non è che siano state di mia predilezione. Vi garantisco però che sentivo dentro di me qualche cosa di diverso; come ragazza aspiravo ad avere le mie idee, i miei pensieri. Aspirava ad una donna diversa, a un collegamento diverso con la società, perché perché i fascisti dicevano che le donne non avevano cervello e io ho dimostrato che avevo un cervello e che sapevo coniugare le cose che pensavo, e anche dirle.

Gli amori al tempo delle lotte

Io di amore durante la lotta partigiana non sono mai stata disponibile. Per me c’era un valore assoluto di quello che era la necessità fisica, da non confondere con quello che era la necessità politica e in quel momento valeva portare fuori la mia pelle e quella dei miei compagni e della mia gente che mi era vicina.

I matrimoni in brigata

Ci sono stati anche dei matrimoni in brigata specialmente in montagna: la Norma Barbolini mia carissima amica e compagna è stata una di quelle che ha fatto il matrimonio; un’altra è stata la Borsari Tina che si è sposata con quello che poi diventò senatore, Borsari Luigi. Anche loro hanno fatto il matrimonio in brigata. Il matrimonio in brigata voleva dire che il comandante della brigata li sposava ed era valido: no no no per l’amor del cielo non eravamo mica dei pezzi di ferro.

Il significato della liberazione

Per me è stato il giorno veramente che ha voluto dire, incominciamo a vivere, con dei grandi propositi perché eravamo infervorati. Voleva dire mettere a conoscenza la gente cosa voleva dire essere finalmente liberi, costruire un’Italia nuova, avere un apporto di gente che fosse unita che sapesse anche come destinare le proprie idealità, diremmo nel clima di libertà assoluta. Quindi è stato un giorno veramente di grande pensiero allargato.


Renato Gherardini

Mi chiamo Renato Gherardini e sono di Modena. Sono nato il 14 aprile del 1930 e nel 1945 avevo appena appena compiuto i 15 anni.

Storia di un orologio

Un giorno uno di questi mi diede il suo orologio e mi disse tu: vai in corso Vittoria di fronte al bottegaio di fronte al fruttivendolo; ma devi arrivare là alle tre del pomeriggio in punto! Mi diede il suo orologio che era un pataccone così, di quelli che si portavano nel taschino, e io feci tutto il percorso per arrivare la alle tre del pomeriggio. L’indicazione è che dovevo fermarmi e ritornare indietro. Io non ho mai saputo però che cosa sono andato a fare, e neanche in cosa consisteva questa cosa qui: se mi avessero fermato con un orologio di questo genere- quando di orologi i bambini non ne avevano mai- si sarebbero insospettiti e chissà come sarebbe finita.

Una fifa boia

Un giorno fui messo al muro per essere fucilato: due partigiani fecero un tentativo di togliere la rivoltella a un tenente della brigata nera che aveva la sua abitazione dove lavoravo come apprendista elettro- meccanico.  Questi qui anziché togliere la rivoltella si lasciarono sopraffare: il tenente della brigata nera aveva annusato la faccenda e così ne fece fuori uno direttamente, mentre l’altro scappo e andò a finire dalle suore del Buon Pastore. Lo ammazzarono lì sul posto: una volta che arrivarono i fascisti, che arrivarono in poco tempo, erano convinti che fossero tutti e due dei nostri operai. Il gruppo di fascisti ci prese io, il proprietario, due altri apprendisti e un cliente che era lì; ci misero al muro e cominciarono col dire: “cosa dite, li facciamo fuori subito o aspettiamo il maggiore?” La mia fortuna ha avuto ha voluto che aspettassero il maggiore. Mi ricordo che io tremavo e faceva tremare tutti gli altri. Era una fifa boia: è inutile che stiamo a dire una cosa per l’altra: la fifa c’era eccome poi le cose le facevi perché è cosciente che dovevi far finire la guerra.

Il giorno della liberazione

C’era il vento e un bel sereno. Mi ricordo che mi feci alla fine alla finestra e vidi un gruppo di tedeschi che scappavano e si rifugiavano tra una casa che era di fianco alla ferrovia, sul passaggio a livello di via Ciro Menotti. Vidi che questi tedeschi si erano rifugiati e lì e poi furono fatti prigionieri.

Naturalmente uscimmo fuori con cautela: la prima cosa che vedemmo furono appunto i partigiani di Nonantola che seguivano i carri armati che si sono poi sparpagliati; assediarono l’Accademia militare e nel pomeriggio riuscirono a far prigionieri i tedeschi che vi erano dentro. Di fascisti neanche l’ombra perché erano scappati.

 La resistenza: un momento di progresso

La Resistenza ha rappresentato un momento di di progresso dove ci siamo resi conto che si poteva anche contestare il padrone, che si poteva fare di noi dei cittadini e non della gente che subiva soltanto ciò che chi comandava ci aveva sempre imposto.


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